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Nella terra delle janare. Viaggio nell'Irpinia segreta, tra leggende, magia e misteri
1-CHI SONO LE JANARE...

La figura della janara appartenente al patrimonio folclorico Gallese, si differenzia dalla la strega quale figura letteraria confezionata già in età classica, ma soprattutto moderna, con caratteristiche andate via via perfezionandosi e configurate in un repertorio ben consolidato, grazie agli scritti di esponenti della cultura clericale dal Medioevo in poi, i quali, attraverso un lungo processo, ne selezionarono gli aspetti discriminanti, utilizzando materiale dalla provenienza più varia: racconti popolari; superstizioni locali; mitologia classica, ebraica, nordica; inchieste giudiziarie, verbali di processi, fino alla codificazione, sistematica ed accreditata dall’autorevolezza degli scrittori, della figura della strega secondo una tipologia precisa.

La janara è una figura della tradizione popolare e come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste.
Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria , la Manalonga, le Fate. Appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.
È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un’eretica, al pari dei seguaci di altre religioni.

Origini del nome janara
L’etimologia proposta per il termine popolare janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute). Per Piperno, l’origine del nome deriva dal fatto che le streghe per aerem nare sentiantur dum feruntur ad ludos oppure dal fatto che il nome di una delle Lamie del tartaro era Duchessa Iana

Janara è il termine comune nella nostra provincia per indicare la strega e lo si trova anche nella variante ghianara. La semiconsonante iniziale è l’evoluzione naturale del nesso latino \di\, come nel caso di diurnum Þ juorno. Pertanto il termine non viene da ianua, in cui la \i\ evolverebbe in \g\ (cfr. Ianuarius Þ Gennaro), ma da dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana , equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni (Cic. De nat. deor., 2, 68, sgg.).

Orazio parla dei tria virginis ora Dianae (i tre volti della vergine Diana ) o di Diana triformis (Diana triforme, cfr. Hor, Car., 3, 22, 4)

Virgilio conferma tale aspetto quando parla della dea che è Luna in cielo, Diana in terra, Ecate nel mondo infernale (Verg., Aen., 4, 511.b)

“Gioco di Diana ” è definito, in molti testi, il corteo di streghe , stregoni e spiriti infernali di cui si aveva notizia attraverso le deposizioni delle imputate di stregoneria. Altro nome di esso è sabba ”, forse da Sabazio, o Bacco, in onore del quale si celebravano riti orgiastici. Infatti anche nel consesso stregonesco vi era una forte componente sessuale. Diana è chiamata nei processi “Signora del gioco”, dove “gioco” traduce il latino ludus, nel significato di “luogo dove s’impara” o anche di “passatempo dilettevole”, visto che in queste riunioni si ballava e si cantava.



2- Janare - le streghe di Benevento Le janare entrano in casa
La natura incorporea delle janare, faceva sì che potessero entrare nelle abitazioni penetrando sotto le porte, come un soffio di vento, oppure penetrando dalle finestre come un lieve spiffero.
Per evitare che esse potessero entrare, dietro alle porte e alle finestre venivano appesi sacchetti di sale o scope. La tradizione vuole che la janara, prima di entrare in casa, dovesse contare tutti gli acini di sale o tutti i fili o le fibre che formano la scopa. La ianara, così, era costretta ad espletare il compito ma nel frattempo sopraggiungeva l'alba e la ianara era costretta a ritornare nella propria abitazione.



3-"Chi nasci 'a notte 'e Natale nasci maleritto: si è màscolo, addivènta lupo mannaro; si è fémmena, addiventa ianara pe' tutta 'a vita."

Le Janare o streghe

La leggenda popolare narra che chiunque nascesse la notte del 24 dicembre diventasse un lupo mannaro se maschio, se femmina, invece, condannata ad essere Janara per tutta la vita. La Janara era una profanatrice di porte, infatti il suo nome deriva da “ianua” = porta, attraverso le quali ella riusciva ad entrare nelle case altrui disturbando il quieto vivere. E proprio per bloccarla nell’atto, davanti ad ogni porta si usava appendere una scopa in miniatura od un sacchetto contenente granuli di sale, in modo da tenerla impegnata tutta la notte a contare, senza venire mai a capo del conto, i fili o i granelli fino all’alba, momento in cui doveva scappare dalla luce. Si temeva la Janara perchè la si riteneva portatrice di disgrazie o malocchi (raccolti andati a male, malattie ad animali), si temeva soprattutto che una sua occhiata o una parola sussurrata a bambini ancora in fasce potesse far diventare loro storpi o portarli addirittura alla morte. Ella era considerata la serva del diavolo e aveva la capacità quindi di procurare aborti, malformazioni ai piccoli ovvero tutto quello che riguardava la sterilità; contrapposta quindi alla Madonna (vergine e madre), la Janara è simbolo lussurioso e sterile. Da ciò si evince quindi il significato della scopa che è paragonata ad un simbolo fallico ed i granuli di sale che sono associati al nome di “Salus” dea della salute e quindi portatrice di vita.


Storie raccontano di Janare che entrate nelle stalle rapivano gli animali e li sfinivano per tutta la notte facendoli correre e stancare e riportandoli solo all’alba stanchi morti e con la schiuma alla bocca. Altre invece che frequentavano assiduamente case dove erano presenti bambini ai quali storcevano gambe e piedi impedendone la crescita nel tempo o in altri casi, causavano strabismo o addirittua morte; il sacrificio dei bambini serviva a nutrire, con il loro sangue, il mostro che veneravano durante i loro riti.

I rituali delle Janare (Sabba) si svolgevano solitamentre intorno al noce più vecchio nei pressi del fiume Sabato alle porte di Benevento. Questi riti si eseguivano con salmi recitati in una lingua incomprensibile e con girotondi intorno al noce ai quali rami era appesa la pelle di un caprone che veniva battuta ripetutamente con dei bastoni ad ogni giro di Janara. Un rito Pagano non apprezzato dai Cristiani e mai compreso, perchè il caprone nella Bibbia simboleggia il demonio. Solitamente dopo i girotondi, si usava terminare il Sabba alzandosi tutte in volo in groppa alla propria scopa, ma non come ci viene mostrato in televisione col manico che guida il volo, ma al contrario, tenendo il manico rivolto all’indietro. [continua...]




4-Streghe e Janare

Rispetto alla figura classica tramandataci dalla storia e dagli scritti degli esponenti della cultura clericale del Medioevo, la Janara è prettamente legata al culto magico della terra, conosce l'uso delle piante, può comandare gli eventi atmosferici e arrecare danno all'uomo. E' una donna dotata di conoscenze magiche e come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la Janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma soltanto magiche, come l'Uria, la Manalonga, le Fate. E' capace di nuocere agli umani, ma non ha legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un'eretica. La tradizione vuole che chi nasce la notte di natale sia predisposto a trasformarsi, se uomo in lupo mannaro, se donna in una janara.




Noce di Benevento

L'etimologia proposta per il termine popolare Janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua=porta, in quanto essa è insediatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la Janara riusciva ad entrare,sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. Ma possiamo anche notare che nel termine Janara la semiconsonante iniziale è l'evoluzione naturale del nesso latino "di",pertanto in termine non verrebbe da ianua, in cui la "i" evolverebbe in "g", ma da Dianaria o Dianiana, aggettivo derivato da Diana, equivalente a seguace di Diana.

Pietro Piperno, i Longobardi e l'Anphisibena

Protomedico beneventano e autore del celebre libro "Della superstitiosa Noce di Benevento", del 1639, rifacimento della versione latina dal titolo "De Nuce Maga Beneventana". L'opera stampata nel 1635, è un omaggio al signor Traiano della Vipera, mentre quella del 1639 è dedicata al patrizio Ottavio Bilotta, del quale viene celebrata l'antica stirpe,che prende il nome di un antico idolo longobardo, la vipera d'oro, chiamata Anfesibena o Bilotta, poichè aveva due teste. Piperno nel suo testo fa risalire l'origine delle streghe beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all'epoca del Duca Romualdo. Secondo quanto racconta Piperno, che a sua volta desume le notizie da una legenda di San Barbato, i Longobardi adoravano una vipera d'oro e celebrano i rituali attorno ad un albero.


Epitaffio del Noce

La preoccupazione di Piperno è quella di dimostrare l'infondatezza della diceria che Benevento è città di streghe. Infatti il noce dei raduni longobardi, infestato di demoni, fu sradicato dal santo vescovo Barbato. Nonostante tutto, sia relazioni di dotti inquisitori, sia le testimonianze rese dalle streghe, facevano pensare che il mitico Noce esistesse ancora e qualcuno diceva addirittura che era rinato, nello stesso posto da cui era stato estirpato. Lo stesso Piperno localizza in una piantina, acclusa al testo italiano dell'opera, sia il simulacro dell'Anfesibena, sia il Noce

Egli puntualizza che il Noce, rinato sul medesimo luogo di quello sradicato da San Barbato, si trova a circa due miglia dalla città, non distante dalla riva meridionale del fiume Sabato, nella proprietà del nobile Francesco di Gennaro. Su questo luogo Ottavio Bilotta fece porre un'iscrizione che ricordasse l'opera di San Barbato. Piperno desume aneddoti e notizie dai più noti trattati demonogici dell'epoca, citando Paolo Grillando e Martino del Rio e li fonde con elementi della tradizione locale. Unica consolazione per l'autore è il fatto che le streghe non sono mai donne di Benevento, ma vengono qui da altre parti. Il suo tentativo di dimostrare l'estraneità della città al convegno delle streghe fallisce proprio quando dimostra che Benevento è notissima in tutta Europa, per il Sabba.




Descrizione del luogo del Noce

La Ripa delle Janare e le noci

Il Piperno riporta la testimonizanza della strega Rosa, che durante il processo, rispose all'inquisitore che il noce delle streghe era nella valle benventana, presso un fiume e non lontano dalla ripa di esso c'era un luogo dove le streghe erano solite danzare. Lì c'era anche un antro pieno d'acqua dove d'estate le streghe si bagnavano facendo giochi nella notte di San Paolo (29 giugno) o in quella di San Giovanni (24 giugno). Ma perchè proprio il Noce? I suoi frutti, che in un involucro ligneo proteggono i semi quadrilobati, le cui increspature possono ricordare un cervello nella scatola cranica, potevano essere utili strumenti per la magia simpatica, che utilizza oggetti simili a quelli su cui si vuole esercitare la forza incantatrice.




Fiume Sabato



Sotto l'albero di noce l'erba cresce più rada. Le foglie, i malli, sono fortemente tannici ed inoltre contengono un alcaloide, una sostanza tossica, che si chiama juglandina. La decozione delle foglie usate per iniezioni vaginali serve alla cura della leucorrea e per lozioni nelle ulcere scrofolose. I cataplasmi di foglie fresche guariscono le piaghe e le ulcere.

L'olio di noce, la decozione del mallo, sono antiemintici (favoriscono l'eliminazione dei vermi intestinali). Le foglie secche e poi decotte sono usate per lavature di tutte le mucose; le pennellature sono utili per le afte delle tonsille. Col mallo acerbo, raccolto rigorosamente a San Giovanni, si prepara il noto liquore casalingo, nocino o nocillo, dalle rinomante proprietà stomachiche e digestive. Ce n'è abbastanza perchè il noce sia caro alle manipolatrici di erbe. In particolare è interessante la capacità di quest'albero di accogliere in sè il bene e il male, dice Piperno che nux, ut arbor, et bonis et malis proprietatibus fuit a natura dotata.Infatti l'errata manipolazione delle sue parti può far divenire nociva la sostanza in origine capace di guarire.




Ponte Ripa delle Janare



Numerose sono le applicazioni tramandateci dalle Antiche: le noci unite al cibo con ruta pestata li trasforma in veleni letali, ma se poste fra funghi o altri cibi velenosi, ne assorbe ed estingue la tossicità. Aiutano ad espellere i vermi, unite a cipolla, sale e miele. Le ceneri poste sull'ombelico sedano i dolori. La corteccia di noce bruciata e tritata, mescolata al vino e all'olio diventa una lozione lucidante per capelli ed elimina l'alopecia nei bambini.

Con un pò di miele e ruta la cenere della corteccia spalmata sui seni ne lenisce le infiammazioni, lo stesso avviene per le carie dentarie. Secondo Piperno i frutti prodotti dal Noce delle Streghe erano venduti a caro prezzo come amuleti. Essi erano di forma piramidale a base quadrangolare ed erano utilizzati per combattere terrori notturni infantili, crisi epilettiche; inoltre i nuclei inseriti nella cavità uterina facevano concepire figli maschi. In greco il noce è detto Karion, nell'antichità preellenica sembra che fosse stato consacrato ad una misteriosa divinità della morte chiamata Kar o Ker, divenuta presso i Greci Kore, la fanciulla rapita da Ade e diventata dea degli inferi col nome di Persefone. Così la Caria in Asia Minore, è la terra dei noccioli e delle noci e Carias in Arcadia era il villaggio dei noci dove le fanciulle facevano una danza in onore di Artemide, nome greco di Diana, che qui era chiamata Cariatide.




Chiesa di San Bernardino



Le Arcistreghe

Nella terra beneventana vivevano ed operavano alcune tra le streghe più famose del mondo: Violante da Pontecorvo, la Maga Menandra, che abitava nella zona conosciuta oggi come Grotta Menarda, o la Maga Alcina di cui parla anche l'Ariosto, che viveva a circa quattro miglia dalla città di Benevento, nel paese di Pietra Alcina (Pietrelcina); oppure la Boiarona, la quale aveva legato dei demoni alle noci, anche la Strega Gioconna era solita fare questi malefici. Ma l'Arcistrega per eccellenza nella zona del Sannio fu Bellezza Orsini, processata dal santo uffizio di roma nel 1540, la quale aveva una particolare predilezione per le apprendiste molto belle. Dopo averle spalmate con l'unguento, insegnava loro la famosa formula per volare. Conosceva l'arte di combinare le erbe per guarire i malanni, ma in seguito ad una serie di denunce, fu arrestata, rinchiusa a Fiano e torturata. Per la Orsini quella della Striaria era un'Arte concessa solo a quelle del suo rango. Confessò di essere stata più volte al Noce in compagnia di altre Arcistreghe. In onore di queste Antiche Maestre ancora oggi facciamo visita all'albero del Sabba, un luogo fisico, ma anche un luogo del nostro cuore di streghe; una radura astrale da raggiungere per ritrovare le nostre amate Sorelle del Corteo.




5-San Lupo: Il paese delle Janare e delle insurrezioni



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San Lupo è uno dei paesi più piccoli della provincia di Benevento. Conta poco più di 800 abitanti e si adagia su una rocciosa collina. Guardando verso il basso, fasce coltivate piene di viti e ulivi dominano la vallata. Verso l’alto, c’è l’imponente rupe del monte Ciesco (900 metri sopra il livello del mare). Apparentemente tranquillo, San Lupo è in realtà un vortice di storie importanti ma allo stesso tempo amare, leggende magiche e affascinanti. Conserva poi una rinomata ricchezza enogastronomica.
La leggenda vuole che i monaci benedettini, inviati dall’Abate Giovanni per individuare il luogo dove costruire il primo nucleo abitativo, scegliessero l’odierna località Cortesanta, per l’apparizione di un lupo “che mirava una stella abbagliante in cielo”. Questa scena è ricorrente in
moltissime raffigurazioni: nelle fontane, nelle chiese e nelle acquasantiere del paese.

Tra le bellezze storico-artistiche spiccano il cimitero De Giorgio, uno dei primissimi esempi di neogotico in Campania, e le due fontane (Capodacqua e S. Angelo) che si trovano appena fuori il centro storico. Quest’ultimo merita più d’una visita, per l’antica Via “di mezzo” (oggi Via Garibaldi) che taglia longitudinalmente San Lupo e conduce il visitatore dalla chiesa madre di S. Giovanni Battista alla decentrata, ma molto più interessante, chiesa dell’Annunziata, eretta nel 1633. All’interno di essa, infatti, spicca l’altare seicentesco di puro stile barocco.

Merita una visita anche Palazzo Iacobelli, dimora, nell’Ottocento, del cavaliere Achille Iacobelli e, nel 1852, di Ferdinando II re delle Due Sicilie. Valenza storica anche per la Taverna Iacobelli dove nel 1877 gli anarchici Cafiero e Malatesta prepararono un’insurrezione popolare antigovernativa.
L’aspetto più intrigante del piccolo centro sannita lo troviamo, però, nell’alone del mistero delle tantissime leggende sanlupesi: una su tutte quella delle Janare. Risalente al Medioevo, nacque proprio presso un torrente, poco distante dal centro storico. Si narra che sotto una roccia, dominante il corso d’acqua, si celasse un accesso agli Inferi, dove il diavolo in persona si mostrava alle sue adoratrici, le Janare appunto. Costoro erano donne del luogo che si tramutavano in area e volando entravano nelle case dei sanlupesi per compiere i loro malefici.
Per rivivere la leggenda, l’appuntamento è con la “Festa delle Janare”, il 24 giugno!   PER SAPERNE DI PIU'  https://cleo.forumfree.it